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Londra, Agosto 1545

Jane Howard si coprì con il lenzuolo, velando le proprie nudità baciate dalla luce del sole. A pochi metri da lei, Richard si accingeva a lasciare la stanza da letto per vestire nuovamente i panni dello scrupoloso avvocato. Lo osservò coprire le natiche con le calzebrache, le spalle larghe, la carnagione chiara: era ancora un uomo piacente, nonostante l’età. Lo guardò indossare la camicia chiara e il farsetto, rammentando l’amplesso appena consumato, le labbra e i seni ancora impregnati del suo sapore. Il marito le sorrise e spalancò l’uscio, senza darsi pena di richiuderlo al suo passaggio.
Jane si volse, schiacciando i seni sul materasso, i boccoli chiari che ricadevano sui cuscini ricamati, le gambe intrecciate e i piedi che spuntavano dal lenzuolo. Con gli occhi neri sondava la capitale oltre la finestra socchiusa: le vie erano già in fermento, qualche ragazzina mostrava le mele raccolte in pesanti bisacce che oscillavano nell’incedere e, a passi svelti, evitava di finire annaffiata dagli scarichi che gli abitanti riversavano sulle strade dalle imposte spalancate.
Sospirò rammentando un tempo lontano, quando poltrire su un morbido giaciglio era un miraggio; quando il canto del gallo annunciava l’aurora e la polvere era l’unico odore che infestava l’umile dimora condivisa con i genitori e i fratelli.
I passi di una seva che saliva le scale la distolsero da quella passeggiata nel viale dei ricordi. Mary annunciò la sua presenza, le nocche che tamburellavano sul battente accostato al muro; le diede il buongiorno e spalancò le imposte, lasciando entrare il brusio della strada. L’aria del mattino la schiaffeggiò e Jane si avviluppò maggiormente nel lenzuolo.
− Vostro marito sarà alla Guildhall per tutto il giorno, comunica di non attenderlo per il pranzo − le riportò la serva.
La condotta del facoltoso avvocato Richard Howard era ancora oggetto di pettegolezzo nei salotti aristocratici della City: erano da sempre un mistero le ragioni che avevano spinto il gentiluomo a prendere in moglie la figlia di un contadino dell’Essex. Jane incurvò le labbra in un sorriso, rivedendosi giovane e sprovveduta, totalmente inconsapevole dell’arte segreta del sesso e delle sue piacevoli scoperte.
− C’è una lettera per voi. È arrivata qualche giorno fa, ma con i preparativi…
Jane adocchiò la missiva posata sul vassoio argentato, sorda alle inutili ciarle della serva circa l’imminente trasferimento in campagna, per sfuggire al caldo opprimente della City. La ceralacca era anonima e il proprio nome vergato con una grafia sconosciuta.
Allungò una mano senza proferire verbo, gli occhi di nuovo fissi sulla strada, e Mary le porse la lettera. Jane non sopportava quella serva dai capelli rossi, consapevole dell’avversione reciproca, ma le due erano costrette a convivere e ad accettarsi vicendevolmente: questo, il volere insindacabile di Richard.
Spiegò la missiva, gli occhi che sbirciavano le parole d’inchiostro senza leggerle, finché non riconobbe l’identità del mittente riportata sul fondo: un nome che sembrava staccarsi dal foglio sotto la carezza del proprio fiato mozzato. Un nome, a rievocare un tempo e un luogo che credeva di aver sigillato nel cassetto della memoria.
− Lasciami sola. − La voce incerta.
− Non volete che vi aiuti a prepararvi prima …?
− Lasciami sola! − ripeté brusca, rizzandosi a sedere sul letto, i seni esposti agli occhi indiscreti della serva. Jane fissò lo sguardo immobile sulla donna in attesa. − E chiudi la porta! −
Tornò a fissare il cielo terso mentre l’uscio si richiudeva, la lettera premuta contro lo sterno: anche in quel giorno lontano il sole splendeva, il clima era afoso e gli alberi offrivano un tiepido riparo; i colori dell’estate facevano da contorno quando lo aveva incontrato e niente era stato più come prima. [...]

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